Un movimento politico, nato per dare espressione ad una concezione della vita radicalmente diversa da quelle oggi imperanti, e conseguentemente per individuare, prospettare e alla fine imporre soluzioni dei problemi storici del presente sue proprie e sole vere, non può e non deve temere di enunciare con chiarezza le idee e i programmi che lo caratterizzano, anche se essi possono apparire stridenti e scandalosi per il sentire comune. Solo alzando la voce è possibile sperare di modificare questo sentire comune.
Ciò che ci distingue dagli altri è una più chiara visione della natura essenzialmente sociale dell’uomo, in evidente contrasto con le astrazioni individualistiche che vengono poste a fondamento delle legislazioni attuali e delle loro interpretazioni. Nella realtà concreta l’uomo è famiglia, comunità di lavoro, patria, popolo storicamente in cammino, memoria collettiva, progetto collettivo, storia. Se non è o non gli è consentito di essere questo, diviene puro egoismo impotente, esasperato dalla incapacità di dare esito alle sue velleità, in eterna guerra contro tutti e in particolare contro la società stessa di cui è e non può che essere parte, sentita quest’ultima come sempre inadempiente verso i suoi smisurati pretesi diritti.
L’individuo, viceversa esprime pienamente la sua umanità quando sa unire concordemente il suo pensiero e la sua attività a quella della comunità specifica alla quale concretamente appartiene.
Occorre pertanto operare per ridare valore ai diritti delle comunità e dei popoli. Nei diritti dei popoli sono compresi e tutelati quelli degli individui e pertanto non si deve finire con l’annullare i diritti dei popoli per tutelare esasperatamente i diritti degli individui, come oggi si tende invece a fare.
Ciò premesso, si individuano quelli che si ritengono i principali problemi del presente: mercato globale; Europa unita; immigrazione massiccia.
Mercato globale. Sembrava un destino ineluttabile che avrebbe posto fine alla storia dei popoli e, improvvisamente, in questi giorni, esso sta dimostrando una labilità da castello di carte. Il denaro, su cui si fonda, ha mostrato chiaramente la sua natura di mera convenzione. Se si crede nel suo valore, vale. Se si diffondono dubbi, non vale più nulla. La sua onnipotenza è molto più fittizia di quanto si può credere. Al di là di queste considerazioni suggerite da quanto sta accadendo, si devono evidenziare ora gli effetti malefici del Mercato Globale anche quando esso sembra funzionare correttamente. Un imprenditore italiano, con denaro frutto di debiti con banche italiane e estere, acquista materie prime in Africa, ne affida la lavorazione in Cina, applica ai prodotti l’etichetta italiana e li immette nel mercato italiano e estero. In nessun momento della produzione si concretizza più una qualche comunità di lavoro. Ogni elemento opera staccato dagli altri, ignorando la stessa esistenza degli altri, per il suo solo interesse personale. Interesse che, peraltro, a seconda delle circostanze e degli ambienti in cui si trova, può essere calpestato o fatto valere in misura esorbitante. Tutte le leggi di tutela del lavoro e della sua dignità possono essere eluse. Non solo. È resa completamente impossibile ogni valorizzazione del lavoro quale attività collettiva svolta nell’interesse della collettività e non solo di quello privato. All’attività lavorativa è sottratto ogni valore etico. Il lavoratore rimane isolato e alienato.
Occorre quindi studiare con quali iniziative, norme e azioni sia possibile contrastare questi aspetti del mercato globale per rendere possibile il ridar vita a quello che deve essere il vero valore del lavoro.
È evidente che, quali che siano le soluzioni individuate, esse non possono essere imposte sui cosidetti “poteri forti”, cioè dei ricchi irresponsabili (che in questi giorni si stanno rivelando non tanto forti), che da un potere più forte di loro vale a dire da un potere politico. La politica sopra l’economia. È quindi, per tutto, ciò condizione necessaria, anche se non sufficiente, l’esistenza di uno stato forte. Se oggi uno stato nazionale non può avere forza adeguata, è però possibile per associazione di stati nazionali realizzare uno stato continentale. E qui si pone il problema dell’Europa.
L’Europa. L’attuale comunità europea non è e non vuole essere uno stato politico. Agisce sugli stati solo per distruggerli e per azzerarne ogni residua volontà di essere soggetti politici. Pretende di vincolare permanentemente la loro politica estera al Patto Atlantico, cioè di delegare la politica estera agli Stati Uniti. Al più con diritto di mugugno. Nega di aver radici. Dunque nessun passato aggregante, nessun progetto politico per il futuro. Nessuna identità. Solo mercato. Un mercato, come tutti i mercati dai confini indefiniti. Il definir dei confini le è peraltro impossibile, perché essi sono ipotizzabili solo in funzione di una qualche identità che distingua l’europeo dal non europeo, ma la comunità europea rifiuta ogni identità.
Gli organi comunitari europei vigilano e agiscono solo per impedire agli stati nazionali sottoposti di controllare, condizionare e difendere il lavoro nazionale (o ciò che di esso resta). Sono solerti nel tutelare anche contro le volontà degli stati nazionali, i cosidetti diritti naturali individuali, specialmente se sono in conflitto con quelli delle comunità. Difendono pertanto omosessuali, con conseguente svilimento per assimilazione dei valori famigliari naturali, difendono asociali, immigrati clandestini, etc.
Di questa Europa, diciamolo esplicitamente, quanto è stato fatto deve essere disfatto e rifatto. Si deve volere una nuova Europa con volontà politica, aggregante popoli con radici comuni, con una nuova coscienza comune, che possa progettare un futuro nel quale i popoli possano dare un senso al loro lavoro e viverlo. Una nuova Europa che non deleghi a nessuno i rapporti che essa deve e vuole avere con il mondo asiatico, quello africano e sudamericano, rapporti da fondare nel rispetto delle culture di quei mondi, senza pretendere di imporre loro una occidentalizzazione e un colonialismo economico che li snatura e ne impedisce un sano sviluppo. Una nuova Europa che può avvicinarsi alla Russia e cercarne l’alleanza, quando utile ai propri interessi, per contrastare il predominio mondiale degli Stati Uniti e degli altri occidentalisti ad essi legati.
Immigrazione massiccia. È il problema che al momento ci rende epidermicamente più sensibili. Si può quasi parlare di invasione strisciante. Chi tenta di eludere il problema parlando di razzismo deve essere smascherato. Per imbecillità, ignoranza o incoscienza egli tenta di occultare il crearsi delle premesse per un conflittualità drammatica e permanente nella nostra patria. Una minoranza che entra in una comunità con radici storico culturali ben caratterizzate o si fa assimilare o necessariamente per difendere la propria identità deve entrare in conflitto con la comunità ospitatante. Non è possibile sentirsi ugualmente e fino in fondo parte integrante di due mondi diversi. Si tratta di conflitti di culture che spesso vengono esasperati da connessi aspetti di natura economica. Per farsi assimilare gli immigrati devono perdere memoria delle loro origine o, ciò che può essere peggio, devono rinnegarle. Comunque l’assimilazione è possibile solo per piccole quantità di individui che si disperdono in una popolazione enormemente più numerosa. Perché poi l’assimilazione possa effettivamente avvenire è necessario che la comunità accogliente abbia un così alto concetto della sua identità tale da riuscire a farla desiderare agli estranei destinati ad entrare a farne parte. Ma oggi l’Italia sta vivendo un momento di sbandamento e di radicale disprezzo della propria identità. Non è in grado di assimilare nessuno. Chi mai, se non per contingente opportunismo, può desiderare di diventare italiano, quando gli italiani stessi detestano l’italianità ?
L’immigrazione massiccia in queste condizioni può solo creare micromulticomunità in conflitto fra loro, estranee l’una all’altra e unite fra loro solo dall’avversione contro chi li accoglie, perché credono di non vedere i loro pretesi diritti adeguatamente protetti. Economicamente gli immigrati abbassano il costo del lavoro con evidente danno per i lavoratori italiani. Se alcune attività lavorative, particolarmente ingrate, erano rifiutate dai nostri lavoratori, esse poteveno essere rese accettabili alzando la remunerazione. Gli immigrati coprendo quei posti di lavoro rendono impossibile ogni aumento.
La massiccia presenza di immigrati abbassa le remunerazioni anche di quelle attività che non erano rifiutate dalla nostra mano d’opera , perché chi proviene da paesi con bassisimo tenore di vita rapporta il valore delle remunerazioni che gli vengono offerte non tanto al mercato italiano, quanto a quello del suo paese d’origine e quindi giudica convenienti offerte per noi bassisime, ma che, tradotte nella moneta del suo paese, sono del tutto apprezzabili. Se non si vuole rischiare l’innesco di drammi storici futuri, il fenomeno della immigrazione deve essere posto sotto stretto controllo, limitato alle reali esigenze della nostra economia, accompagnato da una rigorosa politica di assimilazione, che accetti solo chi realmente desidera italianizzarsi (chi non ci ama, non venga o se ne vada).
I clandestini sono coloro che eccedono il numero immigrati che possono essere utili. Non servono. Devono essere ricondotti alla loro patria d’origine.
La nuova Europa auspicata, comune patria politica degli europei deve comunque proporsi, fra i suoi obiettivi politici, l’obiettivo di una concreta promozione di sviluppo dei paesi d’origine degli immigrati in modo che non sia più da essi sentita l’esigenza di abbandonare la loro terra e la loro gente.
Oggi, espresse con chiarezza di motivazioni, queste considerazioni e le idee che le sottendono possono trovare incomprensione, perché lontane dal sentire comune imposto dai media, o ostilità perché troppo in conflitto con interessi di potere costituito, ma esse hanno in un futuro, che si spera non troppo lontano, possibilità di successo solo se approfondite, sostenute e diffuse con la massima larghezza, senza compromessi.
Occorre impegnarsi a fondo in un lavoro ingrato, ma ineludibile.
Ciò che ci distingue dagli altri è una più chiara visione della natura essenzialmente sociale dell’uomo, in evidente contrasto con le astrazioni individualistiche che vengono poste a fondamento delle legislazioni attuali e delle loro interpretazioni. Nella realtà concreta l’uomo è famiglia, comunità di lavoro, patria, popolo storicamente in cammino, memoria collettiva, progetto collettivo, storia. Se non è o non gli è consentito di essere questo, diviene puro egoismo impotente, esasperato dalla incapacità di dare esito alle sue velleità, in eterna guerra contro tutti e in particolare contro la società stessa di cui è e non può che essere parte, sentita quest’ultima come sempre inadempiente verso i suoi smisurati pretesi diritti.
L’individuo, viceversa esprime pienamente la sua umanità quando sa unire concordemente il suo pensiero e la sua attività a quella della comunità specifica alla quale concretamente appartiene.
Occorre pertanto operare per ridare valore ai diritti delle comunità e dei popoli. Nei diritti dei popoli sono compresi e tutelati quelli degli individui e pertanto non si deve finire con l’annullare i diritti dei popoli per tutelare esasperatamente i diritti degli individui, come oggi si tende invece a fare.
Ciò premesso, si individuano quelli che si ritengono i principali problemi del presente: mercato globale; Europa unita; immigrazione massiccia.
Mercato globale. Sembrava un destino ineluttabile che avrebbe posto fine alla storia dei popoli e, improvvisamente, in questi giorni, esso sta dimostrando una labilità da castello di carte. Il denaro, su cui si fonda, ha mostrato chiaramente la sua natura di mera convenzione. Se si crede nel suo valore, vale. Se si diffondono dubbi, non vale più nulla. La sua onnipotenza è molto più fittizia di quanto si può credere. Al di là di queste considerazioni suggerite da quanto sta accadendo, si devono evidenziare ora gli effetti malefici del Mercato Globale anche quando esso sembra funzionare correttamente. Un imprenditore italiano, con denaro frutto di debiti con banche italiane e estere, acquista materie prime in Africa, ne affida la lavorazione in Cina, applica ai prodotti l’etichetta italiana e li immette nel mercato italiano e estero. In nessun momento della produzione si concretizza più una qualche comunità di lavoro. Ogni elemento opera staccato dagli altri, ignorando la stessa esistenza degli altri, per il suo solo interesse personale. Interesse che, peraltro, a seconda delle circostanze e degli ambienti in cui si trova, può essere calpestato o fatto valere in misura esorbitante. Tutte le leggi di tutela del lavoro e della sua dignità possono essere eluse. Non solo. È resa completamente impossibile ogni valorizzazione del lavoro quale attività collettiva svolta nell’interesse della collettività e non solo di quello privato. All’attività lavorativa è sottratto ogni valore etico. Il lavoratore rimane isolato e alienato.
Occorre quindi studiare con quali iniziative, norme e azioni sia possibile contrastare questi aspetti del mercato globale per rendere possibile il ridar vita a quello che deve essere il vero valore del lavoro.
È evidente che, quali che siano le soluzioni individuate, esse non possono essere imposte sui cosidetti “poteri forti”, cioè dei ricchi irresponsabili (che in questi giorni si stanno rivelando non tanto forti), che da un potere più forte di loro vale a dire da un potere politico. La politica sopra l’economia. È quindi, per tutto, ciò condizione necessaria, anche se non sufficiente, l’esistenza di uno stato forte. Se oggi uno stato nazionale non può avere forza adeguata, è però possibile per associazione di stati nazionali realizzare uno stato continentale. E qui si pone il problema dell’Europa.
L’Europa. L’attuale comunità europea non è e non vuole essere uno stato politico. Agisce sugli stati solo per distruggerli e per azzerarne ogni residua volontà di essere soggetti politici. Pretende di vincolare permanentemente la loro politica estera al Patto Atlantico, cioè di delegare la politica estera agli Stati Uniti. Al più con diritto di mugugno. Nega di aver radici. Dunque nessun passato aggregante, nessun progetto politico per il futuro. Nessuna identità. Solo mercato. Un mercato, come tutti i mercati dai confini indefiniti. Il definir dei confini le è peraltro impossibile, perché essi sono ipotizzabili solo in funzione di una qualche identità che distingua l’europeo dal non europeo, ma la comunità europea rifiuta ogni identità.
Gli organi comunitari europei vigilano e agiscono solo per impedire agli stati nazionali sottoposti di controllare, condizionare e difendere il lavoro nazionale (o ciò che di esso resta). Sono solerti nel tutelare anche contro le volontà degli stati nazionali, i cosidetti diritti naturali individuali, specialmente se sono in conflitto con quelli delle comunità. Difendono pertanto omosessuali, con conseguente svilimento per assimilazione dei valori famigliari naturali, difendono asociali, immigrati clandestini, etc.
Di questa Europa, diciamolo esplicitamente, quanto è stato fatto deve essere disfatto e rifatto. Si deve volere una nuova Europa con volontà politica, aggregante popoli con radici comuni, con una nuova coscienza comune, che possa progettare un futuro nel quale i popoli possano dare un senso al loro lavoro e viverlo. Una nuova Europa che non deleghi a nessuno i rapporti che essa deve e vuole avere con il mondo asiatico, quello africano e sudamericano, rapporti da fondare nel rispetto delle culture di quei mondi, senza pretendere di imporre loro una occidentalizzazione e un colonialismo economico che li snatura e ne impedisce un sano sviluppo. Una nuova Europa che può avvicinarsi alla Russia e cercarne l’alleanza, quando utile ai propri interessi, per contrastare il predominio mondiale degli Stati Uniti e degli altri occidentalisti ad essi legati.
Immigrazione massiccia. È il problema che al momento ci rende epidermicamente più sensibili. Si può quasi parlare di invasione strisciante. Chi tenta di eludere il problema parlando di razzismo deve essere smascherato. Per imbecillità, ignoranza o incoscienza egli tenta di occultare il crearsi delle premesse per un conflittualità drammatica e permanente nella nostra patria. Una minoranza che entra in una comunità con radici storico culturali ben caratterizzate o si fa assimilare o necessariamente per difendere la propria identità deve entrare in conflitto con la comunità ospitatante. Non è possibile sentirsi ugualmente e fino in fondo parte integrante di due mondi diversi. Si tratta di conflitti di culture che spesso vengono esasperati da connessi aspetti di natura economica. Per farsi assimilare gli immigrati devono perdere memoria delle loro origine o, ciò che può essere peggio, devono rinnegarle. Comunque l’assimilazione è possibile solo per piccole quantità di individui che si disperdono in una popolazione enormemente più numerosa. Perché poi l’assimilazione possa effettivamente avvenire è necessario che la comunità accogliente abbia un così alto concetto della sua identità tale da riuscire a farla desiderare agli estranei destinati ad entrare a farne parte. Ma oggi l’Italia sta vivendo un momento di sbandamento e di radicale disprezzo della propria identità. Non è in grado di assimilare nessuno. Chi mai, se non per contingente opportunismo, può desiderare di diventare italiano, quando gli italiani stessi detestano l’italianità ?
L’immigrazione massiccia in queste condizioni può solo creare micromulticomunità in conflitto fra loro, estranee l’una all’altra e unite fra loro solo dall’avversione contro chi li accoglie, perché credono di non vedere i loro pretesi diritti adeguatamente protetti. Economicamente gli immigrati abbassano il costo del lavoro con evidente danno per i lavoratori italiani. Se alcune attività lavorative, particolarmente ingrate, erano rifiutate dai nostri lavoratori, esse poteveno essere rese accettabili alzando la remunerazione. Gli immigrati coprendo quei posti di lavoro rendono impossibile ogni aumento.
La massiccia presenza di immigrati abbassa le remunerazioni anche di quelle attività che non erano rifiutate dalla nostra mano d’opera , perché chi proviene da paesi con bassisimo tenore di vita rapporta il valore delle remunerazioni che gli vengono offerte non tanto al mercato italiano, quanto a quello del suo paese d’origine e quindi giudica convenienti offerte per noi bassisime, ma che, tradotte nella moneta del suo paese, sono del tutto apprezzabili. Se non si vuole rischiare l’innesco di drammi storici futuri, il fenomeno della immigrazione deve essere posto sotto stretto controllo, limitato alle reali esigenze della nostra economia, accompagnato da una rigorosa politica di assimilazione, che accetti solo chi realmente desidera italianizzarsi (chi non ci ama, non venga o se ne vada).
I clandestini sono coloro che eccedono il numero immigrati che possono essere utili. Non servono. Devono essere ricondotti alla loro patria d’origine.
La nuova Europa auspicata, comune patria politica degli europei deve comunque proporsi, fra i suoi obiettivi politici, l’obiettivo di una concreta promozione di sviluppo dei paesi d’origine degli immigrati in modo che non sia più da essi sentita l’esigenza di abbandonare la loro terra e la loro gente.
Oggi, espresse con chiarezza di motivazioni, queste considerazioni e le idee che le sottendono possono trovare incomprensione, perché lontane dal sentire comune imposto dai media, o ostilità perché troppo in conflitto con interessi di potere costituito, ma esse hanno in un futuro, che si spera non troppo lontano, possibilità di successo solo se approfondite, sostenute e diffuse con la massima larghezza, senza compromessi.
Occorre impegnarsi a fondo in un lavoro ingrato, ma ineludibile.
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